Archivio mensile:gennaio 2013

Sagralità

brivio_cena_volontari3Io ve lo dico: sabato scorso vi siete persi una bella occasione, soprattutto voi, amanti dello spettacolo e del vintage. Un vero e proprio evento organizzato da un circolo Arci milanese che festeggiava qualche decenniversario dalla sua fondazione e intanto ne approfittava per commemorare un attimo De André, che ci sta sempre bene. Per provare a calarvi nell’atmosfera ho bisogno che vi proiettiate un secondo nella dimensione “festa della polenta” perché davvero, dalla processione di genti di tutte le età che confluivano nella location all’allestimento degli interni, tutto trasudava un’indiscutibile solenne sagralità: accalcamento di tavolate, tovaglie cartacee, festoni colorati, manifesti politici, donne impaillettate, sorrisi e galanterie di quegli uomini baffuti che cedono sempre il passo alle signore… roba che se non ti senti immediatamente a casa tua, quantomeno stai a casa di gente simpaticissima.

Nulla avrebbe potuto scalfire quell’immediata, profonda sensazione di appartenenza comunitaria. Nemmeno i soggetti che sono giunti a riempire i posti ancora vuoti della nostra tavolata con i loro disagi di natura eterogenea e intensità  variabile dal lievemente imbarazzante al T.S.O. d’urgenza.

Nemmeno i due presentatori della serata: lui, munito di giacca, papillon, taglio di capelli gay-friendly e cartellina (come i veri) e lei, fasciata in un tubino rosso monospalla che attirava l’attenzione non già sul suo giovane fisico quanto, piuttosto, sul laccio di un reggiseno nero che, con incredibile arroganza, spuntava dal suo decolleté andando a intrecciarsi dietro alla nuca come se niente fosse.

E nemmeno il numero di parole pronunciate – in un arco di tempo tutto sommato limitato – sulle canzoni del poeta. Che dopo il minuto numero due son ritornata indietro ai tempi delle scuole medie, quando la prof ci faceva fare le parafrasi delle poesie. Son cose delicate, ci vuol senso della misura, prof. Cazzo ti frega di cosa vuol dire “Tu pria che l’erbe inaridisse il verno”? non ti bastano tutte quelle erre? Vabbè.

Che poi, a onor del vero, non proprio tutti i discorsi consistevano nella trasposizione dei versi in prosa: ogni tanto, per variare, il presentatore gettava un occhio sulla cartellina e intervistava i musici con domande tipo: “Come nasce la tua passione per De André?”, che è una domanda interessante, in effetti, chi lo sa come mai potrà nascere una passione così singolare. E niente, poi, a tratti, il gruppo ha anche suonato (ma solo dopo aver chiesto “un po’ di silenzio” perché comunque loro avevano scelto le canzoni più intimiste che la radio non ha mai passato, quindi bisognava prestare ancora più attenzione) e non appena le note riempivano la sala, a quel punto volevi improvvisamente tornare a saperne di più sull’origine dell’amore per De André.

Non ci è riuscita neppure la quantità di occhi chiusi che si potevano scorgere tra la folla in stato di semi-trance, quando qualcuno intonava (o, più spesso, stonava) un qualsiasi verso a caso di De André. Manco i labiali a cazzo che, oh! non è che sia obbligatorio sapere tutto il repertorio di De André a memoria, si può tenere la bocca chiusa. Qualcuno avrebbe dovuto dirlo soprattutto al tizio seduto davanti a me, mentre tirava parole a indovinare e si contorceva in preda a un’estasi senza senso, e se non glie l’ho detto io è solo perché ancora sto sperando si contorcesse per soffocare i conati di vomito.

Proprio nulla, insomma, ha potuto scalfire quel senso di pace interiore, neppure ciò che è venuto dopo. Anche perché a un certo punto è apparso un figo che si è attaccato al bancone del bar e io ho cominciato a ordinare un numero di amari che il resto non tanto me lo ricordo.

Mammamia

Diverse sono le tipologie di disagi che possono scaturire dall’infanzia e, in particolare, dal rapporto coi propri genitori. C’è chi soffre tutta la vita per una loro assenza o una scarsa propensione agli incoraggiamenti mentre io, è evidente, pago le conseguenze della fiducia incondizionata che i miei mi hanno sempre accordato: ho un’inutile laurea in comunicazione, un tipo di vita che lascia presagire che il famoso spartiacque (quel momento in cui i genitori smettono di occuparsi “materialmente” dei figli e questi ultimi iniziano a prendersi a carico le esigenze dei genitori) dalle mie parti non arriverà mai e, soprattutto, ho un tatuaggio sul culo. E ciononostante, ovunque io vada, tra me e loro continua ad esistere un canale sempre perfettamente attivo ed efficiente, che spara fuori appoggi a senso unico. Tipo che, mentre le madri di tutto il mondo pronunciano lunghi discorsi sul genere “lascia stare il teatro, uno su mille ce la fa, vattene a zappare”, la mia dieci minuti fa mi manda questo link: “Sono aperte le ammissioni al nuovo anno accademico per la qualificazione di Attore Cinetelevisivo per il cinema e la televisione. Per il modulo di ammissione cliccare qui”.

E, non so voi, ma io questa mail l’ho trovata straordinariamente commovente perché non penso contenga una semplice segnalazione; penso, piuttosto, che voglia dire tantissime cose. Ad esempio che mia madre soffre di improvvise amnesie, perché evidentemente si è dimenticata che sua figlia ha 30 anni. O che continua a vederla come una ragazzina con un sacco di futuri possibili davanti a sé. Ma soprattutto, secondo me, vuol dire che mia madre – una donna che ha rinunciato a tutti i suoi sogni – non è disposta a rinunciare ai miei. Che l’idea ch’io li sacrifichi la rende così triste da essere pronta a supportare una gigantesca, totale, ignobile follia, pur di vedermi felice. Quanto amore può contenere un semplice link?

Troppo. Ché se mi avessero dato qualche randellata in più oggi magari sarei un notaio, avrei un attico in centro e soprattutto non avrei un tatuaggio sul culo.